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Come proteggere l’osso nei pazienti con cancro prostatico: la posizione di un gruppo internazionale di esperti

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Firenze, 22 giugno 2017

Il cancro prostatico è oggi il quarto tumore per frequenza ed il tipo di tumore più diagnosticato negli uomini.  È stimato che 1 uomo su 7 possa svilupparlo nel corso della sua vita. Solo in Europa nel 2012 sono stati registrati più di 400 casi su 100.000 persone, e tale incidenza è destinata a crescere. Nonostante che l’utilizzo di procedure di screening abbia portato ad incrementare il numero relativo di tumori a basso rischio scoperti precocemente, oggi vengono ancora rilevati tumori localmente invasivi e metastatici. 

In questi casi, in associazione al trattamento chirurgico, è in costante crescita l’uso della cosiddetta terapia antiormonale, un’arma efficace per ridurre e trattare le recidive locali e, a distanza, aumentare la sopravvivenza dei pazienti. Tale terapia mira a sopprimere i livelli di androgeni, i quali rappresentano un fattore di crescita per il carcinoma prostatico, ed è pertanto molto impiegata, sebbene non sia esente da effetti collaterali. Ad esempio, l’osso risente molto della deprivazione androgenica, che quindi determina un aumento del rischio di osteoporosi e fratture, indipendentemente da una compromissione metastatica. 

Proprio su questo argomento è stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista “Oncotarget” il lavoro di un gruppo di esperti della International Osteoporosi Foundation e di specialisti in oncologia  (http://www.impactjournals.com/oncotarget/index.php?journal=oncotarget&page=article&op=view&path[]=17980&pubmed-linkout=1) coordinato dalla Prof. Maria Luisa Brandi, Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Firenze e Presidente della Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell’Osso (FIRMO). Il pool ha mirato a descrivere sulla base dell’evidenza il coinvolgimento scheletrico nel cancro prostatico non metastatico e a dare indicazioni di appropriatezza ed efficacia della terapia antifratturativa in questi pazienti. Gli antiriassorbitivi ossei, quali i bisfosfonati, somministrati per via orale o per via endovenosa, ed il Denosumab, farmaco biologico di più recente introduzione, somministrato per via sottocutanea, si è dimostrato efficace nell’aumentare la massa ossea e nel ridurre il rischio di frattura nei pazienti con cancro prostatico in trattamento antiormonale. 

“Se il mantenimento di un’adeguata omeostasi minerale con un adeguato apporto di calcio ed il mantenimento di uno stato vitaminico D ottimale va garantito a tutti” dice la Professoressa Brandi, “la terapia antiriassorbitiva è riservata a casi selezionati sulla base della densità minerale ossea, della valutazione del rischio di frattura e di prevalenti/pregresse fratture. Fortunatamente i farmaci efficaci per la prevenzione primaria e secondaria delle fratture negli uomini con osteoporosi, lo sono anche nei pazienti con cancro prostatico che assumono terapie con antiandrogeni. Ancora non possiamo raccomandarli per la prevenzione di metastasi ossee, anche se ci sono dati promettenti. Resta ancora molto da studiare. Non bisogna dimenticare che sono spesso le cadute a causare le fratture e che, quindi, anche il tessuto muscolare in questi individui, per la maggior parte anziani, va rafforzato. Nel prossimo futuro si potranno rendere disponibili nuovi farmaci indirizzati al tessuto muscolare e scheletrico che potranno essere considerati in questi pazienti”.

È con orgoglio che la Fondazione FIRMO, dopo la salute dell’osso nelle donne con tumore mammario, si trova a sostenere la ricerca in un settore altrettanto importante, quello del tumore prostatico, anch’esso endocrino-dipendente. La parità di genere è rispettata. 

 

Data comunicato:
22/06/2017